Memory, archive, scene. A conversation with Andrés Neumann and Massimiliano Barbini
Da Pina Bausch a Peter Brook passando per Tadeusz Kantor, il fondo Andrés Neumann raccoglie la documentazione di importanti capitoli della storia teatrale. Allo stesso tempo, l’archivio vive in scena con Massimiliano Barbini, attore e responsabile della biblioteca del Centro Teatrale Il Funaro, che racconta Palermo Palermo di Pina Bausch “ricostruendolo” a partire dai documenti. Una conversazione a tre voci.
Ci troviamo nella pace silenziosa e raccolta della biblioteca del Centro Teatrale Il Funaro, un elegante spazio indipendente situato alle porte del centro storico di Pistoia. Il progetto è il frutto di incontri fortunati e operosi, ormai decennali, tra diverse persone che dedicano le proprie energie al teatro e a tutte le forme che la cultura può assumere attorno a esso: qui trovano spazio incontri e laboratori di formazione oltre alla ricerca e alla creazione teatrale in senso stretto. Seduti attorno a un tavolo, circondati dai volumi della biblioteca del Centro e dai faldoni del Fondo Andrés Neumann, che custodiscono un’importante testimonianza della storia del teatro contemporaneo, ci troviamo a conversare di teatro, naturalmente, e dei suoi fili conduttori.
A voi lettori restituiamo parte di una lunga e piacevole conversazione a tre voci tra il produttore Andrés Neumann, l’attore e responsabile della biblioteca del Centro Massimiliano Barbini e la sottoscritta. Il cuore e il punto di partenza della nostra conversazione è Pina Bausch, di cui Neumann con la sua agenzia è stato co-produttore. Rilanciando nel presente questa memoria, Massimiliano Barbini ha accettato la sfida di presentare al pubblico lo spettacolo Palermo Palermo e di ricostruirlo a partire dai documenti presenti nel fondo Neumann. Quella tra il produttore di origini uruguaiane e Bausch è una storia di oltre venticinque anni di collaborazione che oggi “fa memoria”, permettendo anche alle nuove generazioni di assaporare quegli anni irripetibili caratterizzati dal lavoro dei grandi maestri del teatro internazionale. Palermo Palermo. L’artista e la città viene presentato presso il Cinema della Compagnia di Firenze nell’ambito di una giornata dedicata al tema degli archivi dal titolo Memoria e contemporaneità. Una, nessuna o centomila? che vedrà, in conclusione, anche la proiezione del documentario di Graziano Graziani Pina Bausch a Roma e lo spettacolo a cura di Massimiliano Barbini.
GCC: Andrés, qual è stato il suo primo incontro con Pina Bausch?
AN: Lavoravo al Festival di Nancy con Jack Lang e Lev Bogdan, che aveva una fidanzata tedesca, di Bochum. Dunque, andando a trovare la fidanzata in Germania, Bogdan scoprì questa compagnia di Wuppertal e ce ne parlò. Era il 1978. Dopo, negli anni in cui ho lavorato come consulente di Renato Nicolini, a Roma, a Testaccio, c’era un teatro-tenda gestito da Lisi Natoli che, con Leonetta Bentivoglio, aveva pensato a un progetto sulla Germania. Leonetta, amica di Pina, aveva proposto al comune di portare Pina Bausch al Teatro Argentina. Io a quel tempo non lavoravo per il Tanztheater Wuppertal, ma per il comune. Trovammo quest’idea fantastica, dunque facemmo di tutto affinché questo si avverasse. Il primo incontro con Pina avvenne a Nancy, poi in Germania, dove ho poi seguito tutte le prime delle nuove produzioni. Ricordo la prima del Macbeth che Pina fece a Bochum, dopo dieci minuti la gente aveva iniziato ad andarsene… uno scandalo! Non è sempre stato facile. All’inizio il teatro è stato vuoto, per anni. Io ho continuato per mio interesse a frequentare la compagnia, eravamo amici, d’estate capitava di incontrarsi in giro per il mondo.
GCC: Pina Bausch aveva un rapporto privilegiato con l’Italia.
AN: Sì, per anni ogni estate le sue vacanze, a luglio, erano in Puglia. Veniva molto volentieri in Italia, era una sua priorità. Non siamo mai riusciti, però, a portarla in Toscana, mai! Non si è mai riusciti a chiudere un accordo. Amava il Sud: Napoli, la Puglia, la Sicilia… e poi aveva una visione geografica squisitamente internazionale, intercontinentale.
GCC: Sappiamo come Pina Bausch lavorasse coi danzatori, ma che cosa voleva dire lavorare con lei sul fronte organizzativo?
AN: A collaboratori e danzatori, per chiunque, Pina Bausch dava la sensazione di avere una strategia di pensiero irraggiungibile. Non aveva un vero e proprio senso pratico, ma una praticità orientata alla visione del proprio progetto di cui noi collaboratori vedevamo solo una parte, mentre lei aveva la visione generale. Ti accorgevi che lei teneva conto di infinite variabili. Aveva sempre con sé una borsa nera con all’interno i calendari dei tre, quattro anni successivi: gli incastri delle tournée erano diabolici! Bisogna tener conto che, per esempio, se si decideva di presentare a Buenos Aires uno spettacolo, lei doveva considerare che, magari, quello stesso pezzo tre mesi prima era in Giappone e quindi doveva calcolare il tempo di viaggio delle scenografie. A parte gli aspetti logistici e amministrativi, c’era una complessità quasi inafferrabile fatta di mille variabili. Tutto era molto lento.
GCC: È possibile che questa inafferrabilità fosse anche dovuta a un certo suo modo a dir poco autonomo di gestire il lavoro e l’organizzazione?
AN: Le sue priorità nessuno le poteva veramente conoscere. Lei valutava tutti gli aspetti delle scelte, li ponderava per mesi. Ho co-prodotto tre spettacoli del Tanztheater Wuppertal: Palermo Palermo, O Dido e Como el mosquito en la piedra, ay si, si, si, ma nei venticinque anni di collaborazione non ho mai parlato con Pina al telefono. Parlavo con altri collaboratori e poi la incontravo a cena. Lei non parlava mai al telefono, con nessuno. Tutto si svolgeva di persona.
GCC: Non dev’essere facile avere a che fare con una complessità di questo tipo… Massimiliano, l’archivio cosa racconta rispetto alla nascita del progetto di Palermo Palermo?
MB: Quello dedicato a Palermo era un progetto di residenza di Andrés. Tuttavia, se si legge la stampa dell’epoca, emergono cento verità diverse. Una verità è che durante una cena su una terrazza un’ammiratrice di Pina Bausch avesse chiesto al sindaco di Palermo, Orlando [Leoluca Orlando, al suo primo mandato come capo della giunta comunale palermitana dal 1985 al 1990, ndr], di invitarla a fare una residenza e lui avrebbe colto questo invito. Poi c’è la verità secondo cui Carriglio [Pietro Carriglio, dal 1978 al 1991 direttore del Teatro Biondo della città, ndr] volesse fortemente questa operazione, poi emerge però un’altra verità per cui, nei documenti, c’è un progetto scritto da Andrés precedente al passaggio palermitano dello spettacolo Gebirge (Auf dem Gebirge hat man ein Geschrei gehört) in cui l’ipotesi di una residenza a Palermo è già presente. Tutte le recensioni parlano dell’innamoramento che scatta tra Bausch e Palermo, attraverso Gebirge, mentre l’ipotesi è precedente.
AN: Non ricordo questo progetto! Quando ho letto il libro di Maria Fedi ho “riscoperto” questo ricordo insieme ad altri…
MB: È un progetto dattiloscritto, senza riferimenti, non sappiamo quindi se è stato presentato a qualcuno… Il dato di fatto è che questo progetto esisteva già prima del passaggio di Gebirge. Nella serata su Palermo Palermo parlerò di come l’archivio può essere letto come un romanzo epistolare. Si risale ai fatti attraverso dei documenti diretti che però non dicono tutto. Sulla base di quello che viene detto, bisogna provare a ricostruire una narrazione. Lavorare su un archivio, da questo punto di vista, è come trovare l’impronta di un dinosauro e da questa impronta tentare di ricostruirne il corpo.
GCC: Al Funaro l’archivio raccoglie una memoria collettiva. Quale geografia si compone?
MB: La cosa interessante è che qui viene raccolta una parte significativa del lavoro di moltissimi artisti. Mentre un archivio personale documenta l’attività di una sola persona, qui è documentato il lavoro dei più grandi maestri del teatro del Novecento. Non c’è un solo filo conduttore dentro l’archivio, il filo conduttore semmai è Andrés stesso. Sfogliando i faldoni, il materiale risulta composito. Di certo, non è casuale la scelta delle persone con cui Andrés ha lavorato: Kantor, Bausch, Brook…
AN: Il mio è stato come un lavoro editoriale. L’archivio esprime le mie scelte, quello che ho scelto di fare nel corso del tempo. Il mio interesse è sempre stato quello di condividere esperienze formative. Sin da quando ero molto giovane, a Montevideo, ho avuto la fortuna di poter viaggiare e vedere molte cose che, al rientro, raccontavo ai miei amici mostrando programmi di sala, fotografie… Ho avuto una famiglia che viaggiava molto, e dopo ho continuato a viaggiare da solo, ogni anno potevo fare un viaggio di formazione che mi permetteva di tornare carico di informazioni e con la voglia di condividerle. Questa poi è diventata la mia professione.
Gaia Clotilde Chernetich
Gaia Clotilde Chernetich ha ottenuto un dottorato di ricerca europeo presso l’Università di Parma e presso l’Université Côte d’Azur con una tesi sul funzionamento della memoria nella danza contemporanea realizzata grazie alla collaborazione con la Pina Bausch Foundation. Si è laureata in Semiotica delle Arti al corso di laurea in Comunicazione Interculturale e Multimediale dell’Università degli Studi di Pavia prima di proseguire gli studi in Francia. A Parigi ha studiato Teorie e Pratiche del Linguaggio e delle Arti presso l’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales e Studi Teatrali presso l’Université Paris3 – La Sorbonne Nouvelle e l’Ecole Normale Supérieure. I suoi studi vertono sulle metodologie della ricerca storica nelle arti, sull’epistemologia e sull’estetica della danza e sulla trasmissione e sul funzionamento della memoria. Oltre a dedicarsi allo studio, lavora come dramaturg di danza e collabora a progetti di formazione e divulgazione delle arti sceniche e della performance con fondazioni, teatri e festival nazionali e internazionali. Dal 2015 fa parte della Springback Academy del network europeo Aerowaves Europe, mentre ha iniziato a collaborare con Teatro e Critica nel 2013.
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